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Anna Maria Ortese e la dipendenza dal fantastico.
«Il mondo deformato e ricreato attraverso la scrittura di Ortese ci appare più direttamente, più precisamente, nel suo squallore, nella sua ingiustizia, ma anche nella sua bellezza e tenerezza più vere, nel sacro nascosto del non immediatamente visibile.»

Marta Barone
In Corpo celeste, Anna Maria Ortese ha insistito sulla necessità di restituire al reale «il significato di appartenenza a un’altra realtà, con la quale sembrerebbe necessario, per rinnovarsi, confrontarsi ogni tanto». Eppure nelle sue opere la realtà viene spesso filtrata dal fantastico, aprendo squarci di possibilità improvvise su mondi nuovi.

Matteo Moca indaga la natura di questa zona intermedia tra reale e fantastico, nella convinzione che nell’opera di Ortese questa non sia una mera scelta di campo letterario, ma un tentativo di impugnare la carica politica del fantastico, unica possibile via per illuminare il buio in cui l’uomo brancola.

Un’esigenza di realtà ci restituisce nella sua interezza lo sguardo di Ortese, che non è mai sognante ma ben spalancato a farsi testimonianza delle brutture e delle violenze dell’epoca ferale in cui si immerge, un presente in cui gli angeli e le bestie che popolano le sue storie ci restituiscono il ritratto di «Uno scrittore-donna, una bestia che parla», tra le più grandi della nostra letteratura.

Matteo Moca ha pubblicato le monografie Tra parola e silenzio. Landolfi, Perec, Beckett (La scuola di Pitagora, 2017), Figure del surrealismo italiano. Savinio, Delfini, Landolfi (Carabba, 2020) e ha curato il romanzo Madonna di fuoco e Madonna di neve di Giovanni Faldella (Quodlibet, 2019). Si occupa in particolare di Tommaso Landolfi, Elsa Morante, Anna Maria Ortese e Georges Perec, oltre che delle convergenze tra letteratura, arte e scienze umane. Scrive di letteratura contemporanea su quotidiani e riviste.
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